Mi manca lo stare in panciolle (una parola che dovrei studiare in tutte le sue sfaccettature: panciolle, panciolle, panciolle) senza fare nulla che arrechi fastidio alla mia mente tormentata.
Mi manca potermi sentire fine a me stesso, autoconclusivo, senza avere bisogno della snervante attesa che accompagna la macabra danza degli esami estivi.
Mi manca il freddo, ma questa è un'altra storia; mi manca il gelato perché mia madre non me lo prende.
Mi manca il tempo, sempre troppo e sempre scarso, per poter fare quello che voglio.
Mi manca l'Assurdo e abbandonarmi in esso.
La sessione estiva ha lasciato dei solchi vermigli nella mia carne: vedere festosi i pinguini in vacanza, vedere leoni quotidiani scagliarsi a bomba in pozze cittadine, consci dello spreco di denaro, ma felici dell'opportunità.
Tutti i giorni lo stesso asfalto, lo stesso assalto verso la conoscenza, che dalla sua sfodera la spossatezza e mi inchioda al terreno (anzi, all'asfalto).
Mi dispero e mi compiango, nella consapevolezza della vicina meta, dell'agognata VACANZA, del suo sapore dolce e fruttato, aspro come un ghiacciolo al limone e dolce come una crema di fragole.
Mi sento come su un'isola, una caldissima isola, un atollo incontaminato e dunque senza divertimento: mi sento solo, frustrato, incompreso, insultato e amareggiato.
Tutto questo deve essere canalizzato, e dunque, lasciatemi delirare un po', non troppo, quel tanto che basta per rinfrescare il cervello...
Frigide folate di vento mi turbinano i capelli, esponendoli a ghiacciate sirene di incomprensibile bellezza: il loro soffio è magico, ed eccomi in montagna, su un ghiacciaio bianco panna che mi abbraccia nella sua azzurra fratellanza nevosa.
Turbino io ora, e mi rotolo come Pimpi nel mare di neve, finito, concluso, contento e appagato.
Ora il mare, nero, blu scuro e a volte verde, il verde dell'amore e dell'Irlanda. La scogliera è morbida, declina ogni mio invito di danza: la danza è per le onde, dice lei, e il mio tuffo è un fresco amplesso con il mare, madre coraggiosa e spavalda.
Il tuffo mi porta nella steppa: renne e orsi si contendono i pattini, e i pinguini indecisi creano la fila per la pista: il pattinaggio però riesco a farlo senza le taglienti calzature, e mi butto di pancia assaggiando il liscio del ghiaccio, superficie refrigerata.
Il muro contro cui sbatto è soffice: nuvole, nuvole pregne di pioggia che mi circondano. A turno mi metto sotto la loro impietosa doccia, sciogliendo l'amarezza e la spossatezza: energia e completezza, rinasco nel bianco, invece che nel rosso terreno.
Fradicio mi ributto sulla terra, e attendo che un pinguino con un paio di sci in più mi porti a rinfrescarmi.