lunedì 30 gennaio 2012

Ridondando


Ridondando nel blu
semplicemente riflettendo
che mio zio era là.
Crogiolarsi,
mentre il computer mi guarda.
Inutile pensare,
se non sai vivere,
dice qualcuno;
oppure inutile vivere
se non sai pensare.
Io dico
che se vivi e pensi
(uovo di Colombo)
non hai tempo di divertirti.

domenica 29 gennaio 2012

La Bellezza Matematica


Cosa mi piace della matematica?
In sé apparentemente non presenta nulla di bello, nulla di semplice (se si avanza a stadi integrali o derivati), nulla di possibilmente riconducibile ad una manifesta libertà di pensiero.
La matematica è Regola, è Parametro, è Convenzione: è un insieme di leggi che spiegano come il nostro mondo è regolato, e perché vortica o cosa baggiane del genere.
Capisco la grande utilità del tutto (senza di essa saremmo ancora dietro a girare con ruote quadrate spingendo muli per la testa), ma deve esserci qualcosa della matematica che sia soggettivo, personale, indiscussamente frutto della singolare che mente che ognuno di noi distingue negli anni da quella degli altri.
Deve esserci un fattore estetico, un qualcosa di "solamente bello" (quel solamente bello che Lella Costa è riuscita a descrivere così bene nella puntata di Zelig del 27 gennaio) che ci spinge a desiderare ardentemente di fare dei calcoli.
E questo fattore esiste, diverso per ognuno d noi.

Io ad esempio l'ho trovato negli operatori: ma non quelli piccoli e banali, ma quelli grandi ed imponenti, fautori di errori madornali che portano alla deriva i numeri, nel Mare del Calcolo differenziale.
Il simbolo dell'Integrale ne è un esempio: una esse allungata all'inverosimile, che cerca di ergersi in una statura da noi decisa, affusolandosi sotto i nostri ordini.

A te la scelta,
rendimi bella,
o lanciami nell'oblio.

Il punto è che sono io a decidere la bellezza del mio foglio, seguendolo attraverso tutti i suoi stadi, da quello in cui è bianco, intonso come un barattolo (non so perché ma ho sempre associato queste due cose, intonso e barattolo, come cane e lessico), a quello in cui è scarabocchiato, sbiracchiato, pieno di macchie di inchiostro (quelle che vengono quando tiri le linee con il righello e la penna e poi ricominci a scrivere) e insulti che poi così velati non sono.

Come si fa a dire di no ad un integrale ben affusolato e stiracchiato, uno sghiribizzo su un foglio, vezzo dovuto alla mia particolare necessità di bellezza formale?
Come accettare una parentesi graffa storpia e sproporzionata, oppure brutta?
Razzismo matematico, lo possiamo chiamare; fatto sta sono schiavo dell'Ordine, e me ne sono sempre reso conto.
E questo mio piccolo autismo insignificante si espande a macchia d'olio su tutto ciò che maneggio, dal foglio di carta allo schermo del computer.
E la matematica rimane comunque il campo in cui esso si manifesta maggiormente.
Ma sbaglio a cancellare una graffa o un integrale venuto male, quando la fuori, in un iniquo mondo senza pietà, l'Agente Deturpante Massimo si aggira a piede libero?

Come pianta mi chiamo,
come albero, mi muovo:
storto e nodoso.

Sto ovviamente parlando della radice.
Ed ora, di fronte a questo nemico inusuale, irrazionale (per quanto questo titolo non gli appartenga in nessun modo!)
sono qui per dichiarare guerra ad un essere che in migliaia di anno ha deturpato block notes, fogli, tavolette di cera, papiri, cortecce, lasagne ed involtini primavera.
La radice deve essere estinta, cancellata e spazzata dalla faccia della Terra, come la peggiore razza mai messa al mondo.
Per non parlare di quando si aggira dalle parti del denominatore, conducendolo verso una strada di bruttume e perdizione.
E che nessuno mi venga a dire che si è trovato soddisfatto davanti ad uno sgorbio che taglia il quadretto a metà, squallido cappello deturpante.
A chi è mai venuta bene una radice alzi la mano, e si vergogni per la propria infamante bugia.

La morale, come sempre, la metto in fondo: non pensare ad un integrale venuto male, ma uccidi senza pietà la radice, mettendo al suo posto un bellissimo esponenziale frazionario, ordinato, e, ma sì diciamolo, intonso.

domenica 15 gennaio 2012

i Viva la Convencion !

Frisbee era un bambino fortunato.
Nella città dell'Assurdo, il cui nome era la fusione di tre oggetti casuali dell'Ikea e di sette piccoli esseri tremanti rintracciabili tra le graffe di un quadernone ad anelli qualsiasi, trascorreva un'esistenza peculiare e a tratti insolita, nella noia più assoluta.

Si svegliava al pomeriggio, recandosi al mattino con la sua macchina del tempo (uno pterodattilo che parlava in latino su una scatola di cereali: bastava inserire la mano nella scatola e pensare intensamente alla data di scadenza delle uova per viaggiare); giunto al mattino, faceva colazione (non con le uova) e poi aspettava il pullmino per andare a scuola.

Che bello quell'autobus con sette ruote, vicino alla sinuosità di un lombrico e alla lacca per scarpe scamosciate: così rosso nello splendore del sole, si ergeva per la strada, spartiacque tra le generazioni.
Nella strada fatta di arcobaleni mancati e di sogni arrancava verso un'improbabile destinazione, montando sui marciapiedi sognanti e saltellando sul posto davanti al semaforo liquido.
Frisbee stava al finestrino, osservando gli pterodattili che portavano la gente dal pomeriggio a quel momento, in un turbinio di briciole ed emozione, stanchezza e cartone, mentre i suoi compagni giocavano nel lungo corridoio del mezzo, fingendo che i sedili fossero di incandescente lava.

Scesi dal pullman, davanti al verde edificio scolastico, i soliti delfini si avvicinavano alla fermata per caricare gli alunni e condurli nelle rispettive classi: la scuola era infatti sott'acqua, creata nelle forme meno euclidee possibili.
Non esistevano due muri uguali e della stessa inclinazione, creando un edificio molto simile ad un foglio di carta stropicciato brutalmente e poi pocciato nell'acqua tiepida e benigna.

L'orario di tutte le mattine era sempre lo stesso:
1) Storia delle Dinastie dei Formichieri;
2) Scrittura e Letteratura dell'Assurdo;
3) Lingue Lunghe e implicazioni scientifiche;
4) Cucina Assurda e languore delle lumache del XVII sec.;
5) Douglas Adams e la Rivelazione.

Frisbee era un alunno diligente, e aveva sempre mostrato interesse per le materie offerte dalla sua scuola: ottimi risultati accompagnati da lecca lecca e Lego lo avevano reso un vero gioiello agli occhi dei suoi genitori, un cammello e una zebra di mezza età molto fieri del loro piccolo dromedario tigrato.

La musica che pervadeva l'edificio (una musica liquida e sorda, molto dolce e melodica, come uscita da un flauto fatto tutto di panna montata) gli era sempre piaciuta, ma quel giorno aveva qualcosa che non andava.
Tutto aveva qualcosa che non andava, ora che ci rifletteva bene: gli elettroni della stanza vorticavano parecchio, apparentemente come al solito, ma con un fare più monotono e banale, come se si riuscisse quasi a prevedere la loro traiettoria.

Passarono due settimane, in cui le convinzioni assurde del piccolo Frisbee crollavano sotto la scure grigia della nebbia e della banalità; la sua angoscia interiore non trovava sfogo, lacerandogli la mente e destabilizzando i suoi sentimenti.
La nera preoccupazione di cui era caduto vittima gli sbalzava l'umore, e i suoi sogni diventavano perfetti e razionali, terrorizzandolo e svegliandolo in pozze fredde di gelido sudore: svettanti torri regolari, con orologi e forme squadrate; matematiche euclidee e somme razionali.

Un mattino particolarmente doloroso, Frisbee si alzò, ben prima dei genitori, e quatto quatto andò in biblioteca, consultando diversi manuali di magia nera.
Trovò quello che faceva al caso suo, e di nascosto lo portò a casa.
Nelle poche ore che lo separavano al pomeriggio e al risveglio, iniziò a leggere il libro, con timore reverenziale e una curiosità fuori dal normale.
"Per due punti distinti passa una ed una sola retta."
Frisbee sorrise, sollevato.

lunedì 9 gennaio 2012

Un po' di etimologia

horn (eng) = corno (ita)

La parola horn (corno) ha un'origine bizzarra, ma allo stesso tempo divertente e curiosa.

Correva l'anno 1555 (la somma delle cui cifre fa casualmente sedici, come il numero di tucani adorati a Ravenna), e il giovane mercante Ramingo La Maremma sbarcava a Cardiff.
Nato a Pistoia nel 1530 da un pastore maremmano e un cinghiale femmina ( da qui l'espressione "La Maremma Cinghiala"), si era dato al commercio di cravatte con l'Indonesia, per poi aprire le sue rotte verso l'isola britannica.

A Cardiff aveva condotto un bastimento carico di gorilla, e appena sbarcato cercò subito qualche possibile acquirente della sua merce gutturale, forestale e rumorosa.
La città vista dal porto gli piacque molto, anche se non tutti gli abitanti parlavano bene l'italiano.

Per capire meglio Cardiff, conviene fare una piccola digressione su ciò che disse Cristoforo Colombo quando scoprì il Galles nel 1482.
"Un coacervo di daini armati di picche e forconi, che vivono in case polverose e piene di moquette, parlano una strana lingua le cui parole mi ricordano il suono di 'dittonghi'.
Cristoforo dovette fuggire dopo una sua relazione con una renna che non sapeva cucinare bene, finita a causa di un ermellino e dell'esercito dell'indipendenza gallese, ma è un'altra storia.

Ramingo riuscì a vendere il suo carico dopo sedici ore di contrattazione ad una lepre, che aveva bisogno dei gorilla per offrire una protezione ai suoi simili che volevano attraversare la strada.
La scarsa competenza dell'inglese di Ramingo lo portò però ad includere nella vendita la sua nave e di richiedere come scambio un barile di sardine sottolio e quattro salve di cannone.
Trovatosi in braghe di tela e resosene conto dopo un acceso diverbio con la lepre e qualche colpo di manganello da parte di due scaricatori che nel tempo libero spaccavano pietre in miniera, si mise a girare Cardiff in cerca di una taverna che accettasse come moneta corrente le sardine.
Fortunatamente la trovò, gestita da un'alce e un gatto ghiotto di pesciolini.
Sdraiatosi sul materasso ad acqua (che al tempo era una vasca colma di acqua salatissima) cercò di pensare a come tornare a Pistoia, ma si addormentò subito e sognò draghi rossi e gorilla sottolio.

Il mattino dopo si recò alla piazza del mercato, con in tasca le ultime tre sardine rimastegli avvolte nella pagina sportiva dell'Oca di Cardiff.
Una gran folla di cervidi e lemuri si tratteneva davanti ad un palchetto, che purtroppo Ramingo non riusciva a vedere a causa dell'impalcatura ossea delle due alci che gli stavano davanti.

Con la grazia che aveva imparato mercanteggiando a Napoli, si mise ad urlare:-Le horna! Deh, potreste abbassare le horna pe'hortesia?-
Il suo urlo spense due candele e atterrò una mosca.

Si dia il caso che sul palco il Re di Cardiff, John Fitzgerald La Maremma, lontano cugino del padre di Ramingo, avesse convocato un'assemblea per decidere una bandiera da adottare.
Il drago rosso era quasi finito, ma mancava qualcosa che nessuno era riuscito a cogliere.
L'urlo di Ramingo lo fece sobbalzare piacevolmente.
-Ma certo, le horna!-
E con un grasso pennarello umido fece due possenti corna al drago (che nel 1556 vennero eliminate perché pacchiane).
Ramingo, per la sua intuizione, venne portato incredulo al trionfo, lasciando alla lingua inglese la parola "horna".

Durante la Guerra con la Spagna la "a" di "horna" venne eliminata, perché il plurale ricordava molto la lingua iberica.


giovedì 5 gennaio 2012

Genesi


Prima era la Convenzione, nuda e cruda, che per comodità aveva radunato ogni concetto in un grosso agglomerato, per poter ragionare meglio senza i moscerini che gli ronzavano intorno alla testa e i bambini che giocavano in cortile.

Osservando la Convenzione e il grande Agglomerato, l’Assurdo pensò “Formichiere”, e un metafisico pelo puff puff emerse a lambire i confini di esso, figlio di una coda setosa e folta.
Fuck You 
I’m the Anteater.
La Convenzione divenne Caos,poi si fermò per guardarsi bene.
“Faccio schifo, mettiamo tutto in ordine, non posso di certo presentarmi in questo modo al Formichiere.”
Occhi nobili e sguardo millenario, esperienze degne di eoni interi accumulate in pochi secondi.
Il Formichiere pensò “fame”, e il Problema gli comparve davanti agli occhi barbini.

Per mangiare serviva qualcosa di commestibile.
Ma per definire “commestibile” bisognava definire il suo contrario, e poi finire in loop infinito.
Il Formichiere creò la Filosofia perché risolvesse il Problema al posto suo, ma essa si mise trotterellare tra mari di crema solida e distese di ghiaccio gassoso, nello stravolgimento del Caos che tentava di mettersi in ordine.
Osservando la Filosofia che si rigirava nella cruda essenza della materia del Caos il Formichiere fece uscire la lingua lungua, tentando di carpire le informazioni più commestibili del Groviglio Universale.
Non  riuscendo a cogliere i giusti punti per scindere il Groviglio si arrabbiò, e parecchio.

Un’enorme esplosione, dove tutto quello che stava nel Caos venne sparso all’interno dello Scatolone Universale, abbreviato dal Formichiere in Universo.
Pianeti, costellazioni, Galassie, tutto sparso.
Il Commestibile, nelle sue forme più svariate finì sul pianeta Acqua, chiamato così perché possedeva il 71% circa di acqua, una sostanza liquida che però al Formichiere non piaceva perché salata.

E il Formichiere,
coda a ciuffi setosi,
scese su Acqua,
alla ricerca del Cibo,
e della soluzione del Problema.

Lo scenario che gli si parava davanti era decisamente magnifico.
Raffi d’acqua che cadevano da imponenti sciacquose fontane di cascate, rigogliose giungle con steli umidi di bagnata rugiada, freschi come la parola lattuga.
Ora il Commestibile era presente, e il Formichiere colse un pomo da un albero.
Nulla da fare, non passava per la sua cannuccia pelosa.
Il Formichiere pensò ad un qualcosa che potesse aiutarlo nella sua disperata ricerca, e perse un’intera giornata.
Venne la notte, e il Formichiere decise che era ora di andare a letto.
Creò un letto, avendone un’idea raffazzonata in testa e si mise a dormire un sonno tormentato, pieno di incubi ricchi di figure alate e svolazzanti, serpenti resinosi e scimmie sbavanti, che indicavano un grosso pulcino dall’animo dolce ma dai denti a sciabola.

La Solitudine, figlia della Convenzione, scacciata da quella fetta di Acqua, si riaffacciò per tutte le notti seguenti.
Draghi in pigiama, orsetti lavatori in carcere a spazzare le penne di aquile boriose ed impiccate, mentre avvocati mangiano pinne caudali di mostri marini, capaci solo di leggere libri gialli.
Plastica in blocchi fagocita esseri nerboruti, che tentano di cogliere da terra qualcosa di piccolo, e sfuggente, che nel sogno viene presentato come la soluzione del Problema.

Il Formichiere si incontrò con la Convenzione, chiedendola di lasciarlo dormire; e lei, con abile trucco degno del miglior venditore immobiliare, gli mostrò i pregi di una piccola isola verde e rigogliosa, ricca di cocomeri freschi e palme, in cambio del controllo sul resto di Acqua.

Il Formichiere vi dormì per secoli, mentre la Convenzione rimetteva in ordine tutto quello che Coda Poffettosa aveva lasciato andare in libertà.
Creò la peggior Razza di burocrati di sempre: gli Uomini.
Crearono strade e diedero inizio ad una civiltà sempre più razionale e dedita alla moneta, il nero cancro che gli mangiava gli organi, uno per volta.
La cultura mascherava la brama di ricchezze, e i giri al centro commerciale erano solo una scusa per comperare oggetti inutili al fai-da-te.
Acqua aveva cambiato il nome in Terra, perché più concreto e solido a differenza del sibillino sciabordio provocato dall’impetuosità dell’incolore liquido.

L’Assurdo, completamente assimilato nel Formichiere, durante il lungo sonno venne isolato nella parte più remota della semplice mente di uomini e animali, intrappolato dal mondo onirico e dal Riposo Primordiale.
La Fame, e con essa il Problema, svegliarono dopo milioni di anni il Peloso Dormiente, che si trovò dentro alle menti di tutti, dovendone uscire.
Ma prima bisognava trovare un qualcosa che lo aiutasse a dormire al di fuori dell’isola.

Coccole pelose e ridondanti, occhi tondi e sguardo dolce da cucciolo indifeso.
Aggiungiamo un pizzico di morbidezza degna del miglior ammorbidente, il sapore del nuovo e la Bellezza dell’animale addolcito ed inzuccherato.
Il tutto coperto di pelo.

L’Orsacchiotto di Peluche si erse nella sua tenerezza, ricordando biscotti appena sfornati e il sapore del caffè più morbido e vellutato.
La schiuma di una stout sembrava comporre le sue morbide parole tenere.
Il Formichiere ne creò un esercito, e partì alla riconquista di Acqua.

lunedì 2 gennaio 2012

La Bellezza (5 / fine)

Con la storia di Teodoro si è arrivati ad una conclusione decisamente finale, anche se un po' triste.
Per dare certe notizie ci vuole una certa dose di umiltà, che i galli di certo non possiedono (ruffiani dalle penne colorate, i pappagalli sono migliori, anche i tucani), e chiedere scusa in ginocchio (idealmente) al pubblico che possiedo.
Sono fortunato ad avere pochi lettori, decisamente buoni e appassionati, per quel poco che faccio: grazie di cuore!

Tornando al filone principale: ho sbagliato!
HO SBAGLIATO, ERRATO, FALLATO, HO PRESO UN GAMBER GRANCHIO.
QUELLO CHE HO SCRITTO SULLA BELLEZZA E' PROFONDAMENTE SBAGLIATO, PERCHE' PARTE DA UN PRESUPPOSTO ERRATO.

Tutto questo perché ho dato per assodato che Nostro Signore l'Assurdo potesse essere capace solo di cose belle e piacevoli.
Teodoro smonta questa teoria: non perché non sia un racconto bello, ma perché sicuramente tratta di temi impegnati, e di sicuro nemmeno piacevoli.
E la Bellezza da un certo punto di vista è indissolubilmente legata al Piacevole, almeno durante la stesura e la lettura.
Qui si aprirebbe una nuova discussione, che termina con un assioma che entrerà a piedi pari nel recinto polveroso e magari povero, ma tanto ricco, dell'Assurdo.

L'Assurdo, in quanto massima espressione della soggettività, può descrivere il Tutto, poiché il Soggettivo, nelle sue numerosissime sfaccettature, contiene tutto lo scibile umano e animale.

E questo, più che un assioma, diventa un postulato per la Letteratura dell'Assurdo.
Teodoro ha aperto una nuova Era (chiamarla Era Teodoro sarebbe divertente e buffo, come un peluche dal berrettino colorato), nella quale l'Assurdo spezza i suoi limiti riversandosi nell'Universo, l'Infinito, e come diceva il grande filosofo Buzz Lightyear, anche oltre.
L'Assurdo, fiume in piena che trascina i suoi detriti verso il mare, è la Purezza, nonostante tra le sue limacciose acque compaiano deliziosi rami inzuppati e pieni di bitorzoli: la Purezza deriva dalla completezza, non dalle potature e dalle rimozioni.

La Letteratura dell'Assurdo si è ridisegnata, per potersi mostrare, un passo alla volta, nella sua forma più pura e bella: una continua evoluzione, che porterà gli uomini a diventare scimmie, e forse, Tucani.


La Storia delle Biglietterie Automatiche

Vi siete mai chiesti perché le biglietterie automatiche abbiano una dimensione così estesa?

Macchine grigie colme di tintinnanti monetine sporche, ladre scherzose e erronee.
Il motivo va cercato molti anni addietro, quando l'orologio da polso era una mera illusione, e la gente portava binocoli al posto degli occhiali per vedere da lontano gli orologi attaccati alle pareti.

Nel 1789 l'inventore Writetype desiderava saltare le interminabili code all'Ufficio dei piccioni viaggiatori, e decise di creare un sistema per non dover parlare del più e del meno con l'anziana signorotta che regolarmente le stava davanti allo sportello.
Writetype inventò una macchina per scrivere, leggermente antiquata, che permetteva di lasciare la richiesta all'ufficio.
Questo perché i diabolici impiegati delle Piccionaie dello Stato non capivano mai come scrivesse la gente, e la trattenevano facendosi leggere il messaggio più e più volte.
Con questo espediente Writetype provocò quasi uno scandalo, mentre i Piccionari stavano per indire uno sciopero: ma quando le autorità gli chiesero dove mettere le richieste scritte, egli svenne, non sapendolo.

Bisogna saltare al 6 miliardi e settecentoquarantatredicimila e diciassedici d.F. (dopo Formichiere), centotredici anni dopo la morte di Writetype per trovare il contenitore.
Il dottor Tetrapak trovò un recipiente a forma di semibolla dove deporre le richieste, ma la gente aveva già smesso di usare i piccioni, avvicinandosi di più ai pinguini, più nobili e belli.

Nel 1999, mentre la gente stava per far saltare i petardi e le galline, John Johnson, figlio del celebre John Johnson, ebbe un intuizione geniale. Creò una scatola per i biglietti dei treni, poi chiamò Automatico, un caro amico nano, elettricista, e lo fece entrare nella scatola millantando un problema di cavi e squadre di resistenza.
Automatico entrò nella scatola, per esservi chiuso.
"Non cercare di uscire, perché se me ne accorgo al posto che nel lucchetto la chiave la infilo in quest'altra serratura."
Automatico non rispose, sapendo che la chiave era un unica sbarra di ferro di dodici chili.

Naturalmente nell'era di progresso tecnologico i nani sono diventati nani robot, ma se trovate un vecchio distributore Automatico (chiamato così in onore del piccolo grande uomo), quando vi avrà consegnato il biglietto, sussurrategli un "Grazie, amico,Automatico sarebbe fiero di te", e se riuscite, infilate nell'uscita del resto una pomata per le ragadi.