lunedì 24 dicembre 2012

Strenne e balocchi

Partiamo con le dediche: questa poesia è per Il gxxxxx bluff, che mi ha illuminato il Natale.
Sapere che altre persone amano questo tipo di Letteratura e disdegnano con i baffi rivolti verso l'alto la subdola aragosta della Convenzione, in giacca e cravatta, sempre pronta ad irretirti nelle sue regole, simulazioni di perfezione e sicurezza.

Un altro autore in trincea con noi, a condividere cannonate e rospi, in attesa che le mura del Rigore Formale si sgretolino come biscotti sotto i denti delle renne di Babbo Natale.
Grazie, e che i tuoi balocchi siano sempre di legno ed espressivi.

Strenna: renna di Babbo Natale, agghindata di mandorle, ghirlande e arlecchine luci lampeggianti.
Questo perché da bambino in nessun libro mi veniva spiegato il significato della parola strenna: una grave lacuna che ancora oggi stento a recuperare.
Un trauma natalizio.

Balocchi: regali (di legno, preferibilmente), che se messi in un sacco di iuta schioccano tra loro, sballonzolati dal vento, producendo rumori piacevoli all'udito di uomini, renne, strenne e cani pelosi e grandi. È la parola natalizia per eccellenza, secondo la volontà del Formichiere.

Queste sono le due definizioni (soggettive: se ne avete altre, vostre, ben condizionate e apparentemente non infestate dagli acari del Natale, usatele) per poter comprendere gli auguri che io, Direttore della Redazione delle Belle Opere Pelose e della Redazione di "Absurd is the Way!" in quanto unico partecipante in entrambe le comunità, rivolgo a voi, cari lettori, e a voi, cari collaboratori (Il gxxxxx bluff L'Assurdo).
Buon Natale, felice anno nuovo, buone bestie, e che il Formichiere tenga in serbo la vostra strada migliore per il momento più buio.





STRENNE E BALOCCHI

Annaspando tra rosse carte
di granchi e calamari,
tonni e rinoceronti,
assaporo inevitabilmente
spiriti gioiosi.
Innalzando lo sguardo
verso catene di prosciutti,
proteste di manifesti.

Libriamoci tutti al di sopra
delle trombe;
le scale non sono più
per noi.
Allunghiamo il collo,
come dinosauri,
verso il peloso domani.

Stringete la mano
al levriero;
non fatevi intimorire dall'antilope.
Le aragoste sono il male,
ma non le torpedini.

Strenne e balocchi,
frigoriferi nei piatti.

mercoledì 19 dicembre 2012

Giri in libreria e incontri con la signora Presunzione

Scioccato dalla marea di insulsi, abitudinari sproloqui di vaneggi impalpabili.
"Buonasera signora Cultura. Mi conceda di stuprarLa, così, per folle divertimento".
Ribrezzo, copioso e immanente, permea le vene di chi osserva; o meglio, di chi legge.
Quanto poco nel molto!
Vanesi giri di parole per riempire le pagine.
Vergogna, a te e alla tua stirpe.

Mia consuetudine è recarmi alla libreria.
Con passo baldanzoso assaporo l'odore della carta, per me consolazione tangibile in un'era digitale a cui comunque appartengo fieramente.
Volteggio come un colibrì tra le scansie, adocchiando, brillando, spegnendomi, rinvigorendomi e sfarfallando a vuoto, solo per il gusto di sfiorare copertine cartonate o economiche, dipinte accuratamente o minimaliste.

Il fiero leone si aggira per la savana, alla ricerca della gazzella più succulenta, quella che gli arrecherà maggior piacere, e per più tempo.

Armadillando ignaro mi avvicino alla corsia del Fantasy, e della Fantascienza, miei prediletti territori di caccia.

La nausea è una delle sensazioni peggiori, se abbinata al provar ripugno per qualcosa.
E' come se centinaia di umidi vermi, mollicosi e sporchi di fango, danzassero un ballo distorto sulla vostra lingua.

Libri INUTILI.
SCIOCCHI, RIPETITIVI, NOIOSI, INOPPORTUNI.
DISGUSTOSI, VENDUTI, SCHIERATI E IMPERTINENTI.
Ti mostrano spudorati la loro assoluta mancanza di necessità, sbattendotela in faccia e spalmandola con vigore fino ai capelli.

Mi sento offeso da tanto ciarpame, da tanto esercizio dell'inettitudine di qualcuno che vede nello scrivere. E che puntualmente viene pubblicato.
Come dissi a suo tempo, mai mi sono arrogato il diritto di essere pubblicato, ma sono dell'idea che tale onorificenza vada concessa a chi sia in grado di maneggiare una penna con DOVUTA E RICHIESTA disinvoltura.

"Ciao, caro il mio Formichiere. Passavo di qua e vedendoti in tale stato indignato per i prossimi minuti tenterò di tentarti."
La signora Presunzione.
Liscia e languida nel suo mantello di sete pregiate (una formula, sete pregiate, che mi ha sempre fatto pensare all'India, ai puntini sulla fronte e al riso pilaf).
"Ma guarda che porcherie vengono pubblicate al giorno d'oggi. Pensa che a te manco ti considerano. Disdicevole."
Poffarda mentre guarda i libri, sollevandoli, soppesandoli come pezzi di carne (poffardare: osservare qualcosa sbuffando vistosamente).
"Che vergogna."
So sempre dove vuole andare a parare. Ed eccola che parte.
"E pensare..."
Lo sapevo.
"... che tu..."
Arriviamo al punto, vegliarda.
"... hai inventato un genere letterario. E nessuno TI-SI-SCORREGGIA."
Affondo al cuore, classico, pulito, senza sbavature, come l'armatura di un pangolino.

Ora, io non ho la più pallida idea se questa mia convinzione di aver inventato DAVVERO un nuovo genere letterario sia giustificata; so per certo però, che ogni volta che la signora Presunzione interviene, salta fuori la questione.
Non so perché, ma a una parte della mia mente piace pensare di essere un innovatore letterario.
Ad ogni modo, credo fermamente nel Formichiere, e nell'Ispirazione pelosa che concede a pochi procioni (tra cui i ragazzi de L'Assurdo).
E credo fermamente in quello che scrivo, nei miei pochi ma buoni fan.
E se per caso sarò davvero il pioniere di una nuova letteratura, i pochi ma buoni pronunceranno il mio glabro nome, e potranno vantare l'avermi seguito dagli albori.

Vi voglio bene, miei cari lettori, miei ricci, alberi e zuccheri; mie peonie, violaciocche; miei ragnetti, miei zaini e miei muri portanti.
Vi voglio bene, miei equini colleghi, compagni di ciurma in un piatto mare di bonaccia letteraria, alla ricerca mai conclusa di un'Assurda ElDorado.
Il piacere dello scrivere, oltre che dall'atto in sé, deriva dalla consapevolezza della Vostra approvazione.
Grazie.

La questione preferisco chiuderla, stendendo un velo impietoso sulle lotte che inficiano gli angoli più egoisti della mia mente; ma posso, e a ragione, insistere sulla pochezza (che parola signori, che parola!) della maggior parte di ciò che vedo nel reparto novità.
E il primo stronzo che mi dice che però "Lo Hobbit" è bello anche se nuovo, lo prendo a calci in culo fino al 1937.

lunedì 17 dicembre 2012

Svolazzo

Era da un po' che non raggiungevo la serenità necessaria per una sana sessione breve di poesia.
Quella poesia che piace a me, fatta di alambicchi, provette, koala e giaguari, che ti avviluppa fumosa lasciandoti un incerto bacio sul gomito.


SVOLAZZO

Svolazzo pigro
sulla città della gogna:
inebrio fiori dal nettare spento,
stanco di cartoni e televisione.
Colore e sambuca, per Dio!
Ravvivate il mio svolazzare.
Crepate i muri della scuola
elementare,
rintronando bambini
di caramelle e lampadari.

Svolazzo dolce,
su pandori e luminarie,
Natale d'oggi.
M'inoltro tra le genti,
Mosè e mosche,
copripiumoni e treni in ritardo.
Canto di Natale
o Natale da cantare?

Svolazzo nella nebbia,
tra pagode, stracchini,
arachidi e balocchi.
Micetti di arbusti
bussano tremebondi
calore spasimato.
Si abbandonano lascivi su cuscini
di leprotti.

Svolazzo sul razzo,
in cerca di circhi,
rimuginando altalene passate,
presenti,
future.
Suicidio di zanzare zuccherate,
apriscatole danzerini
concorrono con soldati di ventura.

Svolazzo tra libri,
polvere e armadilli.
Pelo di Formichiere,
l'Ispirazione suona prog.
Leccatevi le guance,
o mortali,
e innamoratevi di un piatto.
L'albero sorride,
del sorriso dei martelli.


Buon Natale cari lettori! Buon Natale e buone Salamandre a tutti!

martedì 4 dicembre 2012

Partiamo dal presupposto

Partiamo dal presupposto che stasera sono annoiato.
Partiamo dal presupposto che stasera sono pigro.
Partiamo dal presupposto che per scrivere "Partiamo dal presupposto" ho continuato ad usare sua santità Ctrl+C Ctrl+V (copia e incolla per i profani).
Partiamo dal presupposto che voglio scrivere qualcosa, tanto per far passare il tempo che intercorre tra la fine della cena e l'ora di appollaiarsi sul cuscino a leggere.
Partiamo dal presupposto che non ho idea di quello che scriverò, né di quello che verrà fuori.
Partiamo dal presupposto che sto ascoltando Progressive Rock, in particolare gli Yes.
Partiamo dal presupposto che la giornata è stata lunga e pesante.
Partiamo dal presupposto che adesso parto, e basta.

Rintronato, mi svegliai nel parcheggio del profumificio della MammaRatta & co.
Maledette sbronze pre-commercialista, danno sempre i postumi post-commercialista.
Avevo voglia di un frappè, di quelli densi, che sappiano di un frutto denso, tipo la banana o la nutella. Oppure il tasso o l'ananas.
La sabbia mi entrava dalla orecchie mentre avanzavo; poi mi accorsi che stavo scavando invece di camminare in avanti, e tornai sui miei passi.
Ora avevo voglia di due frappè; ma la gelateria più vicina era famosa per la sua brutta gestione. I babbuini non sono soliti gestire bene gelaterie, e questi due tassi facevano ancora peggio.
"Mai fidarti di un tasso," diceva il mio commercialista, un uomo alto circa un metro e quaranta con un'insana passione per l'alfabeto cirillico "sono animali cattivi, e non denunciano quasi mai quello che guadagnano al fisco."
Ma ero spesso ubriaco quando andavo dal commercialista (prima facevo sempre un salto al bar, per prepararmi), e quel consiglio non l'ho mai seguito troppo.

Entrai con fare spavaldo nella gelateria, mentre i ciondolini appesi all'entrata suonavano un titillante inno francese alla rovescia.
Mi accorsi della pestata solo dopo averla detta due volte, la prima alla commessa e la seconda al cliente che stava davanti a me in fila, giusto per rimarcare la bellezza di quello che avevo appena detto.
"Cortesemente potrebbe prepararmi un frappè al gusto tasso?"
(Ora, il lettore se lo ripeta più volte mentalmente: non è forse una frase metricamente e musicalmente perfetta?)
Il gestore, un tasso arcigno che indossava una maglietta sporca con sopra scritto "Salviamo il pangolino", uscì dal retro con una padella in mano.
Ancora oggi mi chiedo a cosa servisse una padella ad un gelataio.

Corsi fuori, ancora non convinto del tutto sul perché una famiglia di tassi inferocita mi stesse inseguendo.
Credo centrasse qualcosa con una massima di vita che il mio commercialista mi disse una volta, ma al momento non ero certo.
Svoltai in un vicolo buio, sporco, con quattro buoi davanti ad un carretto.
Li scavalcai a piedi pari e mi lanciai nella discesa che portava alla metropolitana.
Solo dopo mi accorsi che nella mia città non c'era la metro, e di conseguenza mi persi nelle fogne.

Partiamo dal presupposto che vagai per due settimane, nelle quali capii molte cose.
Tornato in superficie, la prima cosa che chiesi al mio commercialista fu se fosse mai stato a quella gelateria che stava proprio dietro il suo ufficio.
Il suo sì mi fece capire molte cose sui frappè, sui pangolini, ma soprattutto sui tassi.

Partiamo dal presupposto che non avessi idea di come sarebbe partito il racconto.
Partiamo dal presupposto che questo racconto, come molti che io ho scritto, non ha senso; ma sono riuscito a finirlo abbastanza disinvoltamente.
Partiamo dal presupposto, che si rivela Assurdo; giungiamo alla conclusione che assume senso, e andiamo oltre per tornare all'Assurdo.