mercoledì 30 novembre 2011

Scrivere un Libro Assurdo

La lavorazione di un libro è un affare complicato.
Avete presente quei raccordi delle strade americane, grovigli di cemento simili ai cavi delle cuffiette lasciate nella tasca? 
Quegli amplessi di calcestruzzo che rendono il mondo figlio di un 8 e di un asterisco, ricordano la difficoltà di riporre sul vile supporto magnetico qualcosa come un libro.
Fosse bastevole lanciare cose a caso: asini, trombe, zaini e materassi, tutti dentro alla cannella e alla crema per farcire il divano della bellezza e della poesia.
Magari fosse bastevole scrivere tutto quello che ci viene in mente, lasciando galoppare l'ornitorinco (animale multiforme ma assai pregiato) che è la nostra fantasia, sbattendosene altamente dei muri della nera Convenzione, nemica dell'Irrazionale (che così irrazionale poi non è: sarebbe davvero irrazionale se il suo nome non appartenesse alla convenzione, tipo se si chiamasse calabronassediato).
Lo scrittore sarebbe certamente contento (già lo immagino davanti al PC, che scrive in preda a furia berserk, compiacendosi dei voli pittorici che la sua mente elastica compie, annusando i fogli sporchi della stampante e aspettando con amorosa attesa la conclusione dell'opera) di poter scrivere tutto quel dinosauro di roba che saltella tra un orecchio e il piede destro, anelando l'immancabile bellezza di una bertuccia pettinata e pulita: ma il lettore sarebbe contento di una tale cattedrale?
Io dico di no.
Mi proclamo figlio dell'Assurdo, ma mia nonna è la Convenzione (seduta davanti alla macchina da cucire, con le cuffie dei colori del panno).
Le origini si possono certamente rifiutare, ma, detta brutalmente, non è come fare la pipì; bisogna pensarci su bene (come quando nei film avvengono le separazioni tra rinoceronti, uno dei due torna spesso indietro dall'altro per assicurarsi che i leoni non ridano): in parole più Convenzionali (mi perdonino i lettori, appoltronati nelle loro sedie, a casa, come me; bello appoltronato che bel verbo mi ha regalato il Caso) bisogna creare uno scheletro dell'opera che risponda a ciò che il lettore si aspetta.
Vi svelo un'anteprima, poiché l'elefantino di peluche che ho nella testa sta giusto giusto sbucando dall'orecchio per suggerirmi di dirvelo, con garbo, strofinando la sua zampina dietro al lobo.
Sto per dare inizio ad una lunga opera, amplesso di cemento e come cavolo volete chiamarlo: probabilmente impiegherò di più per costruirne il telaio che a scriverlo, anche perché gli altri peluche non vedono l'ora di uscire; e dietro di loro altri, più grandi e coccolosi.

martedì 29 novembre 2011

E' un nome giusto?

Quanto è bello lanciarsi sghignazzando nella follia dei funghi! Quanti colori vivaci, spenti e grigi, di tutti i tipi (non siamo razzisti!) che si lanciano nel cielo di versi.
Non potete provare gioia più guardinga, più piena, dello scrivere di questa letteratura, che profuma di Yogi e coccinelle, e ha il gusto della freschezza più limpida e trasparente, come acqua lanciata in aria.
E ora un po' di sana letteratura, anche perché è indispensabile dare ai lettori qualcosa di serio su cui riflettere (magari davanti al fuoco, in salotto, leggendo libri con le volute di denso fumo dalla pipa che si levano disegnando i nostri pensieri, caldo ricordo dell'inverno, sempre attuale e sempre piacevole).
La letteratura dell'assurdo è già esistente, in particolare viene così chiamata quella letteratura che viene sviluppata da Kafka o dalle celeberrime opere del Teatro dell'Assurdo (Ionesco, Beckett) come "Rhinoceros" (spero si scriva così, mi piacciono i rinoceronti,ma essendo molto permalosi per via del loro corno, fonte di infinite battute sulle proporzioni, non voglio farli arrabbiare) e "Aspettando Godot".
Innanzitutto Kafka deve essere distinto dalla definizione di Letteratura dell'Assurdo per come la intendo io, poiché va a creare il filone che prende la Convenzione, le applica un "drogaggio" con situazioni che derivano dall'Assurdo e poi la descrive tramite la Convenzione.
Ma povero, va anche contestualizzato nel suo periodo dove l'Assurdo del Duemila non poteva nemmeno essere concepito (chissà come si dice gazzella in ceco).
Gli altri due, nonostante abbiano una forte componente Assurda, nelle loro opere lasciano trasparire una profonda riflessione che ha elimina la fluidità dell'Assurdo più Puro, non so come definirlo.
A questo punto ieri sera mi sono interrogato sulla scelta del nome "Letteratura dell'Assurdo".
Mi sono arrogato forse qualcosa che non è mio? 
Mi sono forse appropriato con la forza di una branca letteraria destinata a personalità di ben altro spessore culturale?
Io dico di no.
Perché, per Assurdo, due cose possono avere lo stesso nome: sta solo a noi dare ad esse un significato.
Se per me Letteratura dell'Assurdo indica un lungo serpente colorato su cui sono incise le mie fantasie più belle e pittoresche, oppure un rinoceronte che bruca la sua erba mentre guarda in cagnesco i leoni che ridono indicando la sua appendice ossea, oppure un letto fatto tutto di barche e un fiume in piena dal quale emergono lenzuola gialle (che bel contrasto visivo, wow), allora per un altro potrebbe essere una cosa serissima dove tutti i colori si trasformano in trasparente vacuità immateriale, e la tristezza sostituisce le bistecche e i pappagalli.

lunedì 28 novembre 2011

Frigorifero

Un ippopotamo
rosa telefono
in un pastrano
rosso mare.
A volte un colibrì
non fa giovedì.
Mia sorella il phon,
Sua Santità
autorità volontà
lei sarà
capirà
uno struzzo.
Un frigorifero
bussa
alla portiera
della bici.

sabato 26 novembre 2011

Il Circo del Mondo

Saltimbanchi rappezzati,
in una viola lanugine, raccapezzano oggetti
a noi districati.
Saltiamo sul tondo,
corriamo sul mondo:
giostra che ti rigiostra,
cavaliere indifferente, maestro
della vita di quartiere.
Lanciàti con formiche nel fulgido tramonto,
mangiamo rinoceronti, 
e non ne traiamo alcun conforto.

giovedì 24 novembre 2011

L'Arte non deve dipendere dal Guadagno

La Letteratura dell'Assurdo, per lo meno come la concepisco io, non ha con fine ultimo la ricerca di un Guadagno, banchiere delle nostre anime, bensì la liberazione del fagotto di sacco del poeta, la parte piena di esso.
La Letteratura dell'Assurdo, nella sua zebrosa concezione dell'Universo e di tutto quanto, salvaguarda l'anima di colui che si getta tra le folte braccia della sua Musa barbuta da questa pratica da disprezzare: mercanteggiare sull'arte non è ciò che interessa..
L'autore/poeta/coluichescrivesulfoglio deve avere assoluta libertà: freschezza d'ali, turbinii sinceri e abbuffate luculliane, tutto può essere descritto, e come più lo si desidera.
Il vincolo del denaro, sporco passaggio di mano in mano, non deve affacciarsi alla finestra della poesia, poiché, nell'ambito del fantasioso e liberatorio Assurdo, per esso no c'è posto.
Se successivamente alla stesura di qualunque cosa (un sasso disegnato, un fazzoletto impiastricciato di lettere rosse, un braccio fitto fitto di caratteri, addirittura un foglio) si riuscirà ad ottenere un qualche contratto, il Guadagno sarà dipeso dall'Arte, e non viceversa.
Chi infatti basa la sua Arte guardando verso il Guadagno, non è che un artista che intrappola la sua Musa, in una gabbia ferrosa, dimenticata e sporca, dalla quale difficilmente si possono esprimere liberi pensieri (così belli mentre si accarezzano sul divano, o si tengono per mano su un tavolo di rovere).
Il fine ultimo, l'osso centrale della colonna vertebrale, lo scafo della nave circondata da rosei delfini volanti nell'etereo spumeggiare dell'aria, il cervello con tutti le sue scossette come albero di Natale il dì della vigilia (non chiedete perché ho scritto dì invece che giorno: era più bello dì) non è altro che la liberazione del poeta, un flusso colorato che esce direttamente dalla testa e affusolato nella sua bellezza variopinta si adagia sul foglio, riempiendolo della mansuetudine della lettera, e del profumo dell'inchiostro.

Manifesto della Letteratura dell'Assurdo

Io proclamo il senza capo né coda, l’assoluta libertà dello scrittore davanti al foglio bianco (che bello il suo profumo, così nuovo e ordinario) o davanti allo schermo del computer (pulito, comodo lucido, che gioia!)!
E’ l’assenza del nesso che rende la scrittura priva di vincoli!
Non è da confondersi con il flusso di coscienza, ma poco ci manca!!
E’ la LIBERA ASSOCIAZIONE la chiave del tutto, il perno intorno cui ruota l’intero sistema della letteratura dell’assurdo.
Questo perché, già Freud l’aveva intuito, solo con la libera associazione si può davvero esaminare la parte più nascosta della mente dello scrittore, e in tal modo darne un giudizio sempre più preciso.
Se desidero associare la parola "corvo" al suono assimilabilmente cupo, gotico, eco della mangiatoia di Lovecraft, "torre" nessun vincolo mi impedirà di trascrivere sul muro disadorno di una dimora medioevale altresì detta castello "il corvo torre".

La scimmia s’addentra nel bosco, mangime di mucca e ali di pipistrello: ecco a voi il budino della faccenda, una climax di gusti e colori che solo una pasticceria torinese può elaborare; non v’è spazio per il lutto: solo gioia, vitelli e barba folta, scura, seriale e ammaestrata.
Il delfino saltella sullo sfondo: la verità è sentirsi persi, ma allo stesso tempo farsi trascinare da quel fiume impetuoso che la nostra mente rilascia se le si permette di inondarci.

E’ la gioia del garrulo fischiettio di un pensionato al mattino, l’odore del supermercato sotto casa; l’aria condizionata del salotto, il gusto del camice del dottore dell’infanzia.
E’ odor di mare e di ombrelloni.
Di monti e di canederli! Quanto quel brodo mi ricorda il piacere del caldo, e la nostalgia del freddo: senza il freddo il caldo non si gode!

Per non parlare poi di quei bercianti versi nella testa, espressione massima del dolce gutturale!!
Quanto amo assaporarli grugnendo soddisfatto della mia materialità così trascendente.
Versi di poesia primitiva, semplici sillabe in un complesso mosaico.
E non se ne vanno rimangono partono con me, non puoi lasciarli indietro.
La senti?
E’ la gioia della mente lasciata libera di inondare il mondo.
Trotta cavallo, selva del lago, selvaggio ferino, landa deserta di steppa frugale.
Corri, salta e inondaci.

Piccoli racconti afferrano la mia gioia, semplici creature che in un batter d’occhio crescono; avventure in miniatura, senza tempo.
Che bello non pensare, ma lasciar fluire il corso delle cose semplici complesse ordinarie: pane, cinture, dietologie, mansuetudine.

Proclamo l'Assurdo, dichiarandomi figlio suo, del suo dolce nettare che afferma le nostre vacue eppur tante esistenze.