martedì 16 aprile 2013

Buongiorno Primavera

Guardo, rampollo di desideri, l'Esterno.
Caldo pomeriggio, primavera.
Batuffoli, ramarri e fagiani mi guardano dalla finestra.
<<Molla la barbalezione. Seguici e corri. Poi pranzeremo con pan di spagna e birra bionda>>.
Tentazioni con piume e ali, squame e sangue freddo.
Le mie membra si stravaccano nel liquame nauseabondo della noia, annaspando alla ricerca di aria, polmone di artificio.
Lasciatemi uscire ve ne prego.
Respirare aria di gioia, rincorrere frigoriferi e libellule, ammazzare il tempo con soffici creme e annegare puteolente nichilismo nella marea del verde pomeriggio.
C'è troppa primavera là fuori.

Il professore polleggia davanti alla lavagna, inforchettando numeri di astrusi calcoli che rafforzano lo spirito dell'uscita.
Mangime per la mente.
Così lo chiamano.
E una mattinata primaverile? Se devo associare qualcosa alla primavera, oserei metterci un "frizzante".
Frizzante come la brezza, la zazzera che mi rincorre mentre vado in bicicletta.
Frizzante come i fagiani nel greto, andamenti traballati e ondulati di una natura strenua e inapparente.
Frizzante come appaganti farfalle e bicchieri di gelato ancora duro.
Frizzante come l'acerbo frutto del divertimento che cerca di maturare dopo l'inverno.
Frizzante come il buongiorno, e il sole fresco.
Frizzante come gli uccelli che salutano la marmellata.
Frizzante come la birra di more.
Buongiorno primavera, Botticelli delle stagioni.

lunedì 8 aprile 2013

Possiamo creare

Quella che più mi si confà al mio stato d'animo è un atmosfera smooth, morbida e vellutata come la schiuma di una Guinness.
Un locale leggermente fumoso, spianato e tirato a lucido: un bancone d'oro, con le spine che gorgogliano come tacchini e con la freschezza dell'aperitivo americano che schiocca le dita a ragazze affusolate e a uomini vestiti come pinguini.
Sguazzo tra un tavolo e l'altro, annaspando a volte, ma sempre a galla.
La serata è mia.
Sono un essere che vive per il pubblico.
Ho bisogno di decantare, intonare, raccontare, viaggiare, saltimbancare, impepare un certo numero di persone che si interessino a me.
Io sono il racconto: loro il pubblico.

Questo non perché abbia molte cose da raccontare: ma perché posso creare qualcosa da raccontare.
Provo a spiegarmi meglio, lasciatemi solo mettere la musica giusta.

Squillino le trombe e mi si porti da bere.

Eccoci cari lettori, davanti alla costruzione creativa.
Una serie di intricati fili, bianchi come il latte, giallo limone e provola; saltimbocca ricompattati che sdrucciolano sulle mura oleose, cercando appigli semplici e trovandone di impensabili.
Immaginate un cornicione pieno di zanzare: fastidiose, a frotte sparse: si uniscono solo per un fine comune.
Allo stesso modo, tirando solo uno dei fili del processo creativo, si muoveranno tutti, dai più quadrati ai più croccanti.

La costruzione creativa è pura metafisica: noi vediamo solamente ciò che arriva alla fine.
Si potrebbe dire che la costruzione è un fine? Diciamo di sì.

Avevo un gatto smemorato. Ma il giorno di Pasqua mi resi conto che lo smemorato ero io, e il gatto cercava solo di recuperare i miei errori.

Questo racconto ultrabreve descrive bene ciò che intendo dall'inizio della chiacchierata.
Tutto si deve chiudere in un racconto.
Ma una strada deve sempre essere lasciata aperta.
La costruzione creativa fa tutta la casa, con tanto di porta d'ingresso. Ma da una finestra si può sempre scappare.

Ora mi sono davvero perso.
Quello che volevo spremere dal concetto di partenza, è che la storia non deve esistere già.
La si deve creare.
La possiamo creare.
Gli elementi sono tutti qua: un tamburello, una buccia d'arancio e un esercito di briciole.
Lasciatevi prendere dal gatto.