martedì 18 settembre 2012

Fugace Visione: La Quarta Dimensione

Mi spalmo sul divano mentre la televisione (orrida dispensatrice di assassini di fantasia) vomita le sue combutte sui Reali canadesi e cose del genere.
Non aspettavo nulla in quel momento: amo ragionar di ricci e Formichieri, ma il divano risucchia le mie povere attività cerebrali: del resto come ci si fa a fidare di una cosa così pelosa assolutamente priva di intelletto?
Ma non divaghiamo.

La mia mentre prende un treno, uno di quelli lucidi, come leccati tutto il giorno da gechi colorati.
I sedili foderati di sogni, non di solida realtà; i camerieri gentili, fatti di caffellatte, privi di polvere.
Uno di loro mi guarda, interessato, occhi di cerbiatto, pelosi e liquidi.
<<E' la prima volta che va verso la Quarta Dimensione signore?>>
La sua aria innocente e disinteressata (domanda di routine per chi ti accompagna verso un determinato luogo, chiederti se ci sei mai stato) mi fa capire che non si tratta di uno scherzo.
<<Quarta Dimensione? Pensavo questo treno andasse verso l'Assurdo>>
Lui mi guarda come un'ape che invece che pungerti ti svolazza intorno, senza arrivare al sodo. Per lui, liquidamente disposto sul pavimento, nella mia frase tropicale mancava qualcosa. Troppo campata per aria.
Quando capisce che il mio arrancato errore si è fermato, decide di spiegarmi, come ad un cucciolo che mangia il divano di casa.
<<Partendo dal presupposto che tutto comprende in parte l'Assurdo, o meglio, che l'Assurdo comprende parte di tutto, arrivarci diventa un complicato concetto filosofico.>>
Fa una piccola pausa, accendendo la radiolina che gli cola dalla spalla.
<<Ma dato che la Quarta Dimensione ha una componente assurda maggiore della terza e della seconda(ma non della prima, quasi pura filosofia), stiamo andando verso più Assurdo. Mi perdoni, non so spiegarlo usando termini convenzionali.>>
Gli faccio un cenno di comprensione e lo congedo.

Poiché i tridimensionali non possono scendere dal treno (non per razzismo, ma per incapacità di comprendere), posso solo guardarla dal finestrino.

Ogni figura si proietta nel tempo, ma noi la vediamo in spostamento. Il tempo diventa visibile.
E' come se ogni figura si muovesse nello spazio lasciando dietro di sé tutti i fotogrammi delle azioni passate.
Il tempo non esiste più: se qualcuno vuole rivivere un proprio ricordo ripercorre i propri passi e torna all'inizio della giornata, del mese, dell'anno.
Il tempo diventa spazio.
E ognuno dei fotogrammi che una persona lascia dietro di sé è solido, tangibile: la persona lascia ogni istante di sé.

Descrivere di queste cose mi viene terribilmente difficile: ma mai scorderò la mia visione, fugace ed incompleta di quello che sta sopra di noi.

Mi scuoto sul divano, patria del pigro e del riposo.
La mia mano si muove, non lasciando alcuna traccia del suo movimento nello spazio ma soprattutto nel tempo.
L'orologio scocca le sette.
Banale, Watson.

giovedì 13 settembre 2012

Alucard - Gentle Giant

Oggi faccio uno dei miei tanti esperimenti.
Descriverò una canzone di 6 minuti, scrivendo tutto ciò che mi passa per la mente in tempo reale.
Questo per me è il primo passo della fusione tra diversi ambiti dell'arte: musica e scrittura. Spero il primo passo verso qualcosa di più grande, di più bello, di più Assurdo.
Io credo in un'arte che deve ancora essere inventata: l'Assurda Arte della Sintesi, che racchiuda il Tutto in sé.

La canzone è "Alucard" del gruppo Progressive Rock "Gentle Giant", facilmente reperibile su Youtube.
Buona lettura, anzi, buon ascolto!

ALUCARD

Luci del Circo, avvitatemi intorni al fanciullo giocoso! Colore di zucchero filato sulle sue gote, mentre il tendone si staglia nella notte.
Luci di festa, berillio e alogene; amare lo spettacolo, le giravolte, virtuose figlie dell'arte. Annunciatori dai corti sigari saltellano nell'oscurità.

Fine dello spettacolo.
Parco nero, vuoto, corvi che becchettano quattro popcorn lasciati per terra.
Ombre che ammaliano le mura più cupe e la giravolta, adesso, nera si stende nell'inconscio terrorizzato.

Il giorno dopo, immemore della notte si diletta ancora delle capriole, il gesto buffo, la mandria del pubblico.

La calma per il grande numero, sussulto di masse: paura che non ce la faccia. Tamburi del rullio, preparazione e salto. Fiato corto e sospeso due piroette,, qualcuno afferra il danzatore. Il numero si avvita.

Fine dello spettacolo, il terrore torna al viaggiare tra le tende più nere. Un ratto sbocconcella i resti di una caramella, attendendo il nuovo giorno.
La pancia duole, crampi della notte! Allontanatevi dal parco, pagliacci sbandati che fumano erba nera.
Pagliacci sbandati che si allenano blandamente, cadendo per terra, puzza di gin e vomito.
La seconda faccia dello spettacolo.
Nascosta.

Squillar di trombe e di nuovo in pista: spazio al colore, al bello e all'effimero.
Ma dietro al muro, corvi e ratti aspettano il banchetto notturno, voraci e smagriti.
Sipario.


Questa canzone ha terribilmente risvegliato la mia paura per il Circo. Forse solo io lo trovo triste e deprimente, ma dietro alla faccia truccata del clown c'è spesso una storia di schiavitù accettata, di uno stancante girovagare, che non porta a nulla.
Il Circo per me è triste, e dietro alla sua maschera di zucchero filato e colore, il terrore più nero mi sfida, con la puzza di popcorn e di vestiti sdruciti.

sabato 1 settembre 2012

Fall is Coming (finally)

Avevo parlato non molto tempo fa di come l'estate fosse in procinto di devastare i nostri orti e il nostro fisico (che vedo anche quello come un orto, in fondo). Ora sono felice di poter iniziare a parlare del mio beneamato autunno, atteso come quei numeri di Topolino con la sorpresa in regalo.

Non prendetemi come un poveretto che non sa che scrivere se non delle stagioni che regolarmente scorrono: sono un osservatore, uno che ama la vita. E sono metereopatico.
Se questa parola esiste già nel librone delle malattie, perdonatemi: intendo metereopatico come "colui che cambia il modo -- PAUSA RICERCA GOOGLE CAUSA PAURA DI SCRIVERNE UNA PIU' GROSSA DEL SOLITO -- di scrivere in base alle condizioni esterne.
L'estate è bella perché si esce, ci sono i fenicotteri e tutti quei bellissimi insetti che mi ronzano sulla testa, ma l'autunno... l'Autunno!!

Foglie sparse sulla strada, tappeto trionfale per il fresco. Quelle belle mattine, così fresche che si sentono linde e pulite. Colori esagerati, animali che popolano la mia mente, sbizzarritevi! La lavatrice vive meglio, d'autunno.

Per non parlare della mia grande passione: la birra. D'estate, per necessità più che per virtù, il dolce nettare si limita alle tre/quattro varianti estive, rinfrescanti, beverine: d'autunno, la creatività!

Fuori acqua dappertutto, la tana poltrona accoglie il figlio infreddolito, mentre l'arancione delle foglie si fonde con uccelli di ogni forma e colore. La fantasia dilaga, a macchia d'olio, pane della mente: amo l'autunno, e sorseggiare la birra diventa arte.
Scura, densa o chiara e leggera: la forza del nettare non diventa un problema, e la creatività dei birrai non è più ostacolata dal torrido nemico della fantasia.
Ecco l'autunno, dove, dalla moto, i colori sono più belli, e il terreno bacia le stanche ruote dell'elogio del vagabondare.

Autunno, ti aspetto. Con l'affetto che si prova verso un padre che ti rimbocca le coperte, con quelle mani sì nodose, ma tanto forti e calde.