giovedì 12 luglio 2012

Miss you

Sei bella come una fantasia sulle piastrelle del bagno. Di quelle bellezze che ti rapiscono per interi minuti, togliendo dalla tua inutile vista tutte quelle cose inutili e prive della succosa capacità d'ignorare.

Mi manca lo stare in panciolle (una parola che dovrei studiare in tutte le sue sfaccettature: panciolle, panciolle, panciolle) senza fare nulla che arrechi fastidio alla mia mente tormentata.
Mi manca potermi sentire fine a me stesso, autoconclusivo, senza avere bisogno della snervante attesa che accompagna la macabra danza degli esami estivi.
Mi manca il freddo, ma questa è un'altra storia; mi manca il gelato perché mia madre non me lo prende.
Mi manca il tempo, sempre troppo e sempre scarso, per poter fare quello che voglio.
Mi manca l'Assurdo e abbandonarmi in esso.

La sessione estiva ha lasciato dei solchi vermigli nella mia carne: vedere festosi i pinguini in vacanza, vedere leoni quotidiani scagliarsi a bomba in pozze cittadine, consci dello spreco di denaro, ma felici dell'opportunità.
Tutti i giorni lo stesso asfalto, lo stesso assalto verso la conoscenza, che dalla sua sfodera la spossatezza e mi inchioda al terreno (anzi, all'asfalto).
Mi dispero e mi compiango, nella consapevolezza della vicina meta, dell'agognata VACANZA, del suo sapore dolce e fruttato, aspro come un ghiacciolo al limone e dolce come una crema di fragole.
Mi sento come su un'isola, una caldissima isola, un atollo incontaminato e dunque senza divertimento: mi sento solo, frustrato, incompreso, insultato e amareggiato.
Tutto questo deve essere canalizzato, e dunque, lasciatemi delirare un po', non troppo, quel tanto che basta per rinfrescare il cervello...

Frigide folate di vento mi turbinano i capelli, esponendoli a ghiacciate sirene di incomprensibile bellezza: il loro soffio è magico, ed eccomi in montagna, su un ghiacciaio bianco panna che mi abbraccia nella sua azzurra fratellanza nevosa.
Turbino io ora, e mi rotolo come Pimpi nel mare di neve, finito, concluso, contento e appagato.
Ora il mare, nero, blu scuro e a volte verde, il verde dell'amore e dell'Irlanda. La scogliera è morbida, declina ogni mio invito di danza: la danza è per le onde, dice lei, e il mio tuffo è un fresco amplesso con il mare, madre coraggiosa e spavalda.
Il tuffo mi porta nella steppa: renne e orsi si contendono i pattini, e i pinguini indecisi creano la fila per la pista: il pattinaggio però riesco a farlo senza le taglienti calzature, e mi butto di pancia assaggiando il liscio del ghiaccio, superficie refrigerata.
Il muro contro cui sbatto è soffice: nuvole, nuvole pregne di pioggia che mi circondano. A turno mi metto sotto la loro impietosa doccia, sciogliendo l'amarezza e la spossatezza: energia e completezza, rinasco nel bianco, invece che nel rosso terreno.

Fradicio mi ributto sulla terra, e attendo che un pinguino con un paio di sci in più mi porti a rinfrescarmi.