Mi spalmo sul divano mentre la televisione (orrida dispensatrice di assassini di fantasia) vomita le sue combutte sui Reali canadesi e cose del genere.
Non aspettavo nulla in quel momento: amo ragionar di ricci e Formichieri, ma il divano risucchia le mie povere attività cerebrali: del resto come ci si fa a fidare di una cosa così pelosa assolutamente priva di intelletto?
Ma non divaghiamo.
La mia mentre prende un treno, uno di quelli lucidi, come leccati tutto il giorno da gechi colorati.
I sedili foderati di sogni, non di solida realtà; i camerieri gentili, fatti di caffellatte, privi di polvere.
Uno di loro mi guarda, interessato, occhi di cerbiatto, pelosi e liquidi.
<<E' la prima volta che va verso la Quarta Dimensione signore?>>
La sua aria innocente e disinteressata (domanda di routine per chi ti accompagna verso un determinato luogo, chiederti se ci sei mai stato) mi fa capire che non si tratta di uno scherzo.
<<Quarta Dimensione? Pensavo questo treno andasse verso l'Assurdo>>
Lui mi guarda come un'ape che invece che pungerti ti svolazza intorno, senza arrivare al sodo. Per lui, liquidamente disposto sul pavimento, nella mia frase tropicale mancava qualcosa. Troppo campata per aria.
Quando capisce che il mio arrancato errore si è fermato, decide di spiegarmi, come ad un cucciolo che mangia il divano di casa.
<<Partendo dal presupposto che tutto comprende in parte l'Assurdo, o meglio, che l'Assurdo comprende parte di tutto, arrivarci diventa un complicato concetto filosofico.>>
Fa una piccola pausa, accendendo la radiolina che gli cola dalla spalla.
<<Ma dato che la Quarta Dimensione ha una componente assurda maggiore della terza e della seconda(ma non della prima, quasi pura filosofia), stiamo andando verso più Assurdo. Mi perdoni, non so spiegarlo usando termini convenzionali.>>
Gli faccio un cenno di comprensione e lo congedo.
Poiché i tridimensionali non possono scendere dal treno (non per razzismo, ma per incapacità di comprendere), posso solo guardarla dal finestrino.
Ogni figura si proietta nel tempo, ma noi la vediamo in spostamento. Il tempo diventa visibile.
E' come se ogni figura si muovesse nello spazio lasciando dietro di sé tutti i fotogrammi delle azioni passate.
Il tempo non esiste più: se qualcuno vuole rivivere un proprio ricordo ripercorre i propri passi e torna all'inizio della giornata, del mese, dell'anno.
Il tempo diventa spazio.
E ognuno dei fotogrammi che una persona lascia dietro di sé è solido, tangibile: la persona lascia ogni istante di sé.
Descrivere di queste cose mi viene terribilmente difficile: ma mai scorderò la mia visione, fugace ed incompleta di quello che sta sopra di noi.
Mi scuoto sul divano, patria del pigro e del riposo.
La mia mano si muove, non lasciando alcuna traccia del suo movimento nello spazio ma soprattutto nel tempo.
L'orologio scocca le sette.
Banale, Watson.
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