Mi trovo nella valle dei templi neri, sbarluccicanti nella voce di chi prova ad essere ciò che vuole.
Due corvitorre si avvicinano a me, scampanellando nella notte che l'ora giungerà solo se ne ha voglia.
Laghetti di catrame accompagnano con il loro canto lagunare la mia avventura, ricordando agli scoiattoli che mi sono perso, e non tornerò mai più al mio villaggio di sogni e batuffoli di cotone.
Sputo per terra e raccolgo un'anice, rammentando di quel gambero che fumava racchette da tennis.
<<La mia voce proviene dal secolo scorso, ti prego di non raccogliere anici o frutta di alcun tipo. La valle è stregata, e il gatto di marmo si trova ben più in là della tua gamba.>>
A parlare era un uomolago, essere più pesce che cervo, capace di nuotare anche nell'aria, se l'umidità passa il livello caramello.
<<Perciò uomo torna indietro, o vai da un'altra parte, poiché uno scoiattolo mi disse che ti sei perduto.>>
Gli rispondo con un calcio e proseguo.
Orologi di gatto si squagliano intorno a me, facendo scappare fagiani e uova di pasqua con gran chiasso.
L'entrata del tempio è una porta di giganteschi cubetti di ghiaccio: prendo il catrame e con l'accendino del gamberoracchetta faccio sciogliere la barriera frigida, inondando pipistrellitorce e cornacchielanguide.
Il tempio del Gatto di Marmo è una struttura più antica del tempo stesso: il grande Formichiere lo creò dal suo pelo più rigido e sinuoso, e da lì sta torreggiante e gagliardo, salvo al suo compleanno che si pittura di salviette e inaugura musei di arte contemporanea.
Si dice che le sue pareti siano fatte di Assurdo puro, e che nessun uomo possa varcarle indenne.
Avanzo con fare cauto.
Chi ha bussato all'Assurdo, stolto uomo di poca fede che ti avventuri, tutto solo, tra chi creò la vita oltre la Ragione?
La voce mi sovrasta e continua a ripetere il suo monito, ma avanzo. Le visioni cominciano ad essere insostenibili.
Mura di liquidi caramelli si sciolgono in camicette da uomo, mentre inalo tipi di dato estremamente suscettibili.
Una vasca di ragù piomba su quattro persone che leggono la pagina 42 di un giornale giallo, mentre sullo sfondo ballerine hawaiane salutano gli avventori robot di un pub di inesistenti cocktail al ramarro.
Colori come il tavolo, il bidone e il bisonte si mescolano in bicchieri di trapani, trapezi squadrati che mi guatano con l'aria di chi conosce il mio essere.
Lecco la parola d'ordine mentre un rinoceronte mi chiede cortesemente che ore sono.
Languido mi corico nella via trafficata, mentre ai miei lati sfrecciano supermercati, carretti di robivecchi e cavalieri: giusto un'armatura si apre come un finestrino e riesco ad entrare nella stanza successiva.
Le visioni peggiorano.
Scuro come il sole un amico di vecchia data saluta con la mano sette strani conigli che cantano di una rana sola mentre i saltellanti ombrelli mangiano fenicotteri al silicio mi avvicino ad uno quelli per sussurrargli parole di latte, ma mi beccano con oggetti di forma triangolare e tiro una maniglia.
Stanza successiva. Il sudore mi cola come una cascata, e la paura inizia ad accarezzarmi la schiena.
Le visioni toccano vertici di Assurdo improponibili.
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Un loop. Sono finito. Come tutti quelli che hanno provato ad arrivare indenni alla fine del primo dei Quarantadue Templi della Valle dei Templi Neri, sono crollato alle visioni che le mura trasudano.
L'Assurdo mi permea, mi avvolge in una morsa.
Ma non è una morsa dolorosa.
E' estremamente pelosa, e soffice.
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