Con questo non voglio ricominciare le solite pippe su cosa sia davvero la Letteratura dell'Assurdo o cose del genere: semplicemente raccontare a modo mio la mia vacanza.
Ogni paese in cui sono stato mi ha trasmesso a lot of feelings, e il modo migliore per raccoglierle è, come sempre, spargerle sul bianco foglio della Scrittura.
SVIZZERA
Neutralità appagata, ma fine a se stessa, si fonde con le mucche color cioccolato che sostano nelle valli, mentre le verdi montagne incoronano un paese senza infamia e senza lode.
Il fastidio che mi punge un lato dell'orecchio è dovuto alla, come dire, banchezza del posto: il tutto è ricco, verdeggiante, ma quel ricco che puzza di finto, di pitturato. Perfino l'aria pura sembra appestata dalla plastica: è come se lo sfondo fosse di carta da parati.
STRASBURGO
Di scorza tedesca, di pasta francese. Un orgoglio nazionale che cambia dalla mattina alla sera, la città franco-tedesca per eccellenza (in fondo della Lorena non si sa niente), la capitale dell'Alsazia è come una birra scura, che si mescola nel blend tra fruttato e alcolico. Una città giovane, ma noiosa: alle nove, tutti a letto.
BRUGES
Per arrivarci bisogna attraversare il verde Belgio, verde davvero (non come la Svizzera, figlia di televendite annacquate), con mucche vere e veri contadini. Colline sterminate accarezzano il saliscendi di ogni autostrada, di ogni altra collina: non c'è posto per il piano, e le pale eoliche sorridono al viandante assetato.
La sete sparisce a Bruges, la cittadina modello per un film scritto da una casalinga: vialetti puliti, lindi, cioccolata e birra, a fiumi.
I bar sono fiumi, e il fiume è un grande bar: l'odore di minestrone sale dalle birrerie, mentre il gelido della schiuma ti accarezza il naso, sopraffino accompagnamento per l'afa della giornata.
Bruges è una blonde ale, dalla schiuma dorata e dalla beva facile: fruttata e fresca, è sempre un piacere.
OMAHA BEACH
Spari, tombe e silenzio.
Omaha riposa tra le fronde degli alberi,
bianca nella sua verginea linea di fuoco.
La gioventù alleata latra dalla terra,
indimenticata prole
per un'Europa dissanguata.
Svetta, rumorosa,
la bandiera
e la tromba suona un'innaturale silenzio.
PARIGI
Primo movimento: fumo acre, strade che caotiche si annodano in mostri eruttanti, il traffico ti incalza come una lepre. La quiete, lontana, si avvia verso il letto, e il sonno.
Secondo movimento (o dei Musei): odore d'olio, pittore scomparso, matto con il pennello. Quadri di valore, un valore sudato con la morte. Lo scricchiolare del legno, come mille scarafaggi sotto il tacco della mia scarpa di cuoio (non so perché, ma è un particolare importante).
Terzo movimento (o del Monumento): alto ti ergi, granitico Napoleone. Di te rimane la sabbia, il tacco delle scarpe, e la gloria di un Impero che ti aspetta ancora, come una mamma, nella dolce casa dell'infanzia.
Mai Parigi assisterà a tale splendore, mai il nome di Impero verrà urlato nelle strada, come in quei giorni di sudate vittorie e imperituri trionfi.
Quarto movimento (o del Colore): di Parigi mi ricorderò la varietà dei colori, la bellezza del policromatico. Ecco l'elenco dei colori che mai potrò scordare: bistecca, piatto, sabbia, rame, cannoni, statue, ferro e torri, dipinto (ebbene sì, nell'Assurdo, il multicolore è un colore composto), museo, coda alla cassa, supermercato, clochard, rosso postale, manufatto. E poi ribes, orango, leopardo e fucile, gendarme e caffè, Perrier e Pelforth, birra scura e liquore denso.
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