"Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove
milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta
azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione."
Nonostante tali difficoltà ambientali, nel millenovecentocinquantaduesimo anno (calcolato in base alla nascita di un uomo giudicato parecchio importante sul quel trascurabilissimo pianeta) nacque qualcuno che finalmente rivolse il suo curioso sguardo oltre l'atmosfera che avvolgeva la sfera azzurro-verde.
E purtroppo (credo sempre per la difficoltà delle condizioni ambientali), non visse abbastanza a lungo per poter finire di raccontare la storia più inverosimile (ma la più probabile) dell'Universo.
Ora che ci penso, solo l'infinità gli avrebbe permesso di porre una non-conclusione alla sua storia.
Questo articolo non vuole assolutamente aggiungere nulla al genio (per molti incomprensibile) di Douglas Adams.
E qualunque cosa io possa provare a scrivere nel giorno in cui avrebbe compiuto 61 anni non potrebbe rendere giustizia a colui che ha sbloccato la mia vena creativa.
Per questo mi limiterò a citare il passaggio più anticonvenzionale e assurdo della Letteratura mondiale.
Signore, signori, Formichieri e suoi seguaci, ecco a Voi il Viaggio ad Improbabilità Infinita.
"L’universo reale s’inarcò disgustosamente sotto di loro,
allontanandosi. Vari finti universi passarono silenziosi, come capre di montagna. Esplose la luce primeva, spruzzando spazio–tempo in giro come pezzi di ricotta. Fiorì il tempo, la materia scomparve.
Il massimo numero primo si conglomerò tranquillo in un angolo e si nascose per l'eternità.
– Oh, piantala – disse Arthur – le probabilità che questo
succedesse erano infinitesimali.
– Ma intanto ha funzionato – disse Ford.
– In che razza di astronave siamo? – chiese Arthur mentre l'abisso dell'eternità si apriva sotto di loro.
– Non lo so – disse Ford – non ho ancora aperto gli occhi.
– Nemmeno io – disse Arthur.
L'Universo saltò, si bloccò, tremò e s'indirizzò in varie impensate direzioni. Arthur e Ford aprirono gli occhi e si guardarono intorno, enormemente stupiti.
– Buon Dio – disse Arthur. – Sembra proprio il lungomare di Southend!
– Diamine, sono proprio contento di sentirti dire questo – disse
Ford.
– Perché?
– Perché pensavo di essere diventato matto.
– Forse lo sei diventato. Forse hai solo creduto che io abbia detto quello che ho detto.
Ford ci pensò su.
– Ma l’hai detto o non l’hai detto? – chiese.
– Credo di averlo detto – disse Arthur.
– Forse siamo diventati matti tutt'e due.
– Sì – disse Arthur – è da pazzi, tutto considerato, pensare che
questa sia Southend.
– Perché, credi davvero che sia Southend?
– Oh sì.
– Anch'io.
– Quindi dobbiamo essere matti.
– Ma se non altro è una bella giornata.
– Sì – disse un pazzo di passaggio.
– Chi era? – chiese Arthur.
– Chi, quell'uomo con cinque teste e un cespuglio di bacche di
sambuco pieno di aringhe affumicate?
– Sì.
– Non so, era uno.
– Ah.
Seduti sul marciapiedi, Arthur e Ford guardarono con un certo
disagio degli enormi bambini rimbalzare pesantemente lungo la
spiaggia, e cavalli selvaggi galoppare in cielo portando fresche
provviste d'ingiurie recidive alle Aree Incerte.
– Sai – disse Arthur, tossicchiando – se questa è Southend, ha
qualcosa di molto strano...
– Vuoi dire per via del mare solido come roccia e delle case che
continuano a sciabordare su e giù? – disse Ford. – Sì, anch'io penso che sia abbastanza strano. – Con enorme fragore, Southend si divise in sei segmenti uguali che si misero a danzare e girare vorticosamente gli uni intorno agli altri, con aria libidinosa e impudica.
– In effetti – disse Ford – sta proprio succedendo qualcosa di molto strano.
Folli e lamentosi suoni di pifferi e di violini s'incancrenirono nel vento, frittelle dolci saltarono fuori dalla strada per dieci pence l'una, orribili pesci precipitarono dal cielo, e Arthur e Ford decisero di scappare.
Si buttarono in mezzo a pesanti muri di suono, a montagne di
pensiero arcaico, a valli di musica triste, a laghi di scarpe maligne e di pipistrelli stupidi, e d'un tratto sentirono una voce di ragazza.
Sembrava la voce di una persona ragionevole, ma disse solo:
– Due elevato alla potenza di centomila contro uno, in diminuzione.
Ford scivolò lungo un raggio di luce e girò vorticosamente,
cercando di individuare da dove venisse la voce, ma non vide niente che si potesse ritenere realmente verosimile.
– Che voce è questa? – gridò Arthur.
– Non lo so! – urlò Ford. – Non lo so. Sembra un indice di
probabilità.
– Probabilità? Cosa intendi dire?
– Intendo dire probabilità. Per esempio, due probabilità contro una, tre contro una, quattro contro cinque. La voce ha detto due elevato alla potenza di centomila contro uno. Una roba molto improbabile, ti pare?
Una vasca da cinque milioni di litri piena di budino di crema si
rovesciò su di loro senza preavviso.
– Ma cosa significa? – urlò Arthur.
– Cosa, il budino?
– No, l'indice d'improbabilità!
– Non lo so. Non lo so proprio. Penso che siamo su un qualche
tipo di astronave.
– Posso solo dedurre – disse Arthur – che non ci troviamo negli
scompartimenti di prima classe."
Douglas Adams, La Guida Galattica per Autostoppisti.
Auguri Doug, e grazie per tutto il pesce.
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